Diviso tra la Freisa di Chieri e gli impegni istituzionali, il custode dei vigneti sabaudi descrive un futuro del vino più accessibile e onnicomprensivo.
Nel corso della pandemia gli internauti hanno assistito a un proliferare di nuovi format, nati con lo scopo di ridurre le distanze personali a cui l’emergenza sanitaria ci ha costretti. Tra i tanti frontman della comunicazione digitale è emersa la figura di Luca Balbiano che, dismessi (suo malgrado) i panni istituzionali di ambasciatore della Freisa nel mondo, ha deciso di condividere in rete le proprie conoscenze enoiche. Attraverso due distinti format – #stappatiincasa e Winewave, figli di stagioni diverse della pandemia – Balbiano ha proposto una rilettura di alcuni temi che, legati dal comune denominatore del vino, raccontassero l’universo di persone e valori che si nascondono dietro ogni bicchiere.
Partendo dalla propria identità digitale, Balbiano riflette con VinNews24 sulle sfide che attendono la comunicazione di settore e racconta le prospettive della Freisa di Chieri, che lui coltiva sulla terrazza privilegiata che è la Vigna della Regina, storico appezzamento appartenuto ai Savoia e affacciato sul centro storico di Torino, oggi parte dell’Urban Vineyards Association.
Luca, con il format video Winewave il vino diventa ‘sintesi liquida’ di una storia troppo complessa perché possa muoversi in modo lineare. Da dove nasce e dove vuole arrivare?
Winewave, innanzitutto, nasce dal mio amore per il mondo del vino, che non è solo un lavoro ma una passione che mi porto dentro fin da quando ero piccolo. E poi dalla considerazione che dentro un semplice calice sono racchiusi personaggi straordinari e vere e proprie rivoluzioni che Winewave vuole raccontare nel modo più coinvolgente possibile, senza tecnicismi e banalità. Per questo durante il viaggio sulla cresta del vino alterno storie drammatiche ad altre più leggere, momenti di grande intensità a piccoli aneddoti di vita quotidiana. Dopo questa prima stagione il mio obiettivo è quello coinvolgere alcuni ospiti che raccontino altre storie insieme a me, mantenendo sempre un tono schietto e leggero.
Con Winewave vuoi rendere il vino comprensibile al grande pubblico, ripulendolo dallo stile autoreferenziale che contraddistingue questo mondo così tradizionale. Consideri questo un passaggio fondamentale per favorire una sua maggiore penetrazione tra i consumatori?
Assolutamente sì. Così come fatto con Stappatincasa, progetto nato “di pancia” come reazione al primo lockdown, anche con Winewave vorrei avvicinare al vino le tante persone che, pur essendone affascinate, se ne tengono lontane per paura della sua complessità. Ritengo, invece, che sia importante creare una narrazione intorno al vino che, oltre ad informare in modo corretto, sia anche in grado di emozionare e divertire. Se riuscissimo ad abbandonare l’autoreferenzialità che ci caratterizza, ci toglieremmo la grande soddisfazione di aver reso il vino un argomento culturale capace di fare innamorare tante altre persone.
Spostandoci tra i filari, su di te grava l’onere e l’onore di accudire la Vigna della Regina, piccolo vigneto con vista Mole Antonelliana parte dell’Urban Vineyards Association. Quali sono gli obiettivi?
La Vigna della Regina è l’emblema della passione della mia famiglia per il vino. Si tratta della storica vigna dei Savoia, incastonata nella collina torinese, di fianco alla Villa della Regina e a pochi passi da Piazza Vittorio Veneto, con una vista ineguagliabile su tutta la città. Assieme alla Soprintendenza per i Beni artistici ed etnoantropologici del Piemonte ci siamo occupati del complesso reimpianto del vigneto, la cui prima vendemmia è datata 2009. Stiamo parlando di numeri piccoli, un totale di poco più di 3.000 piante disposte su una superficie di quasi un ettaro. Oggi siamo fra i pochissimi vigneti urbani in Europa a produrre un vino Dop: il Freisa di Chieri Superiore “Vigna Villa della Regina”, che nel 2020 ha ricevuto numerosi riconoscimenti da guide e riviste di settore.
Ma ciò che più conta è che la Vigna della Regina non è soltanto un vino, bensì un patrimonio da sostenere e promuovere. Per questo nel 2019 ho fondato, insieme ad altri “vignaioli di città”, la Urban Vineyards Association, che mira a valorizzare le principali vigne urbane esistenti in Italia e nel mondo sotto il profilo culturale e turistico, anche attraverso comuni politiche vitivinicole e sociali di integrazione e sostenibilità. Attualmente ne fanno parte 9 vigneti urbani. Oltre al nostro ci sono il “Clos Montmartre” di Parigi, “Laguna nel Bicchiere” e “San Francesco della Vigna” entrambe a Venezia, “Senarum Vinea” di Siena, la “Vigna di Leonardo” di Milano, la “Vigna del Gallo” di Palermo, “Clos des Canuts” di Lione e “Clos du Palais des Papes” di Avignone, ma presto se ne uniranno altri.
Comunicazione consumers-friendly, attenzione all’enoturismo, valorizzazione del contesto circostante. Sembrano le pietre miliari di un ‘Manifesto del vino futuro’. Tu dovessi scriverlo, quale sarebbe il primo articolo?
In Italia il problema spesso non è scrivere i manifesti, ma metterli in pratica. Il nostro Paese è la culla della cultura e della biodiversità, fortune che ci sono state donate e che richiedono molta cura, in modo da consegnarle integre alle generazioni future. Lo stesso discorso vale per il vino, uno scrigno in cui è racchiuso il meglio che abbiamo da offrire. A noi il compito di difenderlo.
Credo anche che la nostra generazione abbia una responsabilità molto più grande della precedente. Trenta o quaranta anni fa il vino era parte integrante della dieta quotidiana della stragrande maggioranza delle famiglie. I nostri nonni senza una bottiglia di vino non si sarebbero nemmeno seduti a tavola e così i nostri genitori. Oggi invece le nuove generazioni rischiamo concretamente di “perdere” questo profondo legame, a causa di ritmi ed abitudini differenti. La cultura del vino si tramanda sempre meno di padre in figlio. Cosa che, sommata alla esorbitante mole di informazioni con cui siamo costantemente bombardati, rende la nostra soglia di attenzione molto bassa. A farne le spese, non a caso, è la qualità delle nostre conoscenze. Per questo occorre parlare con toni e strumenti adeguati ai tempi che cambiano e il mondo del vino, tradizionalmente, ha sempre faticato più di altri a stare al passo con i tempi.
Da presidente del Consorzio Freisa di Chieri e Collina Torinese, quali siano gli elementi di forza e quali invece le debolezze del sistema Piemonte?
Il Piemonte è un abito di sartoria cucito con tralci di vite. Il particolare connubio fra vino e gastronomia ci rende una delle mete più affascinanti del mondo, un microcosmo in cui è possibile vivere per anni senza mai scoprire tutto il bello ed il buono che contiene. Abbiamo una tradizione viticola ed enologica che affonda le radici nei secoli ma che è stata capace di innovare e rinnovarsi, con coraggio, grazie al lavoro e ai sacrifici di donne e uomini che hanno custodito il nostro territorio.
Quello di cui mi sono accorto durante il periodo passato alla presidenza del Consorzio del Freisa di Chieri e Collina Torinese è che, purtroppo, non sempre abbiamo la capacità di comprendere che il successo è concreto e duraturo solo se è di tutto il comparto. Al di là delle Alpi l’applicazione di questo principio ha reso capace il vino francese di crescere costantemente in qualità e, soprattutto, in valore. Forse è giunto il tempo di capire che il fuoco amico spesso fa più vittime di quello nemico e che è davvero arrivato il momento di unirci per valorizzare ancora di più questo nostro patrimonio collettivo. Ne beneficeremmo tutti quanti.
È vivo il dibattito circa i prezzi di alcuni vini piemontesi. Senza entrare nel tema delle singole denominazioni, qual è la tua opinione su un tema che siede a cavallo tra politiche di sistema e valorizzazione della biodiversità, di cui la ‘tua’ Freisa è senza dubbio un esempio?
Penso che quando il dibattito si sposta così tanto sul prezzo, qualcosa è andato storto. Non è utile portare la questione su un piano eccessivamente filosofico o teorico, ma occorre andare a ricercare le ragioni che hanno condotto alla cosiddetta guerra dei prezzi, in cui non ci sono vincitori, per lo meno fra chi fa il nostro mestiere, e che finisce con lo svilire irrimediabilmente il lavoro di decine di migliaia di vignaioli. Se consideriamo che nella filiera del vino troppo spesso l’anello della catena con maggiori rischi e minori guadagni è il produttore, forse è arrivato il momento di porci delle domande.
Mi rendo conto che non sia facile comprendere, dall’esterno, quanto lavoro e quanti sacrifici occorrano per fare bene questo lavoro. Se non si è mai provato terrore per un tuono in lontananza nel periodo della vendemmia, se non è mai vissuta la frustrazione e la sensazione di impotenza per una gelata nel momento sbagliato, se non si sono mai dedicati anni di cure per una bottiglia che poi magari arrivata al tavolo sa di tappo, è normale non capire. Proprio per questo motivo, però, è nostro dovere raccontarlo, farlo sapere, anche gridarlo quando serve.
Nel sentire comune ciò che non costa non vale. Dobbiamo tornare a comprendere la differenza fra il costo ed il valore delle cose. L’educazione alla qualità è un dovere morale di ogni società che si rispetti, specialmente quando si parla di ciò che mangiamo e beviamo. Un tempo per un contadino “fare la vigna” era un punto d’orgoglio. Magari non dava grossi guadagni rispetto al bestiame o al frumento, ma produrre la propria uva era una dimostrazione di capacità e competenza che ripagava di tutte le giornate spese nei campi. Oggi i figli o i nipoti di quelle persone, con questa costante riduzione delle marginalità a fronte di un aumento dei costi, non potranno che dedicarsi ad altro. Abbandoneranno quelle vigne. Non ci sarà ricambio generazionale. E sarà una sconfitta di tutti.
Dai tuoi vigneti si ammira Torino. Qualche consiglio per conoscere meglio questa città?
Se dovessi fare un paragone un po’ azzardato potrei dire che Torino è come il vino: uno scrigno ricco di molteplici tesori che spesso però non vengono compresi e conosciuti dal grande pubblico. È una città magnifica, dove puoi fare il pieno di cultura nei suoi tantissimi musei oppure semplicemente passeggiare per le sue piazze o sotto i suoi portici e sederti in uno dei suoi bar storici. È una città dalla grande storia e, allo stesso tempo, un instancabile laboratorio di idee e progetti innovativi. Quello che mi sento di consigliare a chi vuole conoscere Torino è di lasciare la macchina in un parcheggio e girare a piedi per il suo centro storico. Lasciarsi conquistare dalla sua eleganza un po’ aristocratica, dai suoi palazzi e le sue chiese, dai suoi grandi Corsi e dai suoi angoli appartati. L’importante, naturalmente, è fare una tappa alla Villa della Regina e alla sua deliziosa vigna.