Roberta Ceretto: “Dopo la Cappella del Barolo, portiamo l’arte nel Roero”

di Andrea Guolo

A Vezza d’Alba, in una collina acquistata dal gruppo vitivinicolo piemontese e dove si trovano i vigneti del Blangé, una torre sarà trasformata in struttura per allestimenti e punta a valorizzare il territorio patrimonio Unesco. Intanto a La Morra, nel 2023, sarà inaugurata una “piola” dove il Barolo la farà da padrone

Quando si parla di enoturismo nelle Langhe, inevitabilmente si cita il nome di Ceretto. Un’azienda che, con le sue iniziative portate avanti nel territorio, ha contribuito a dare la svolta dell’accoglienza creando delle vere e proprie icone divenute destinations. Ne citiamo tre: la Cappella del Barolo a La Morra, L’Acino nella tenuta di Monsordo ad Alba e infine, visto che la ristorazione è un asset fondamentale del richiamo turistico, il ristorante Piazza Duomo di Enrico Crippa con le sue tre stelle Michelin. Sono tutte proprietà e investimenti da attribuire al gruppo famoso per i suoi cru di Barolo, ma che ha legato buona parte del proprio successo economico a uno dei vini bianchi fermi italiani più noti nel mondo, certamente il più importante del Piemonte: l’Arneis Blangé. Basterebbero i già citati investimenti in accoglienza per campare di gloria e di reddito nei prossimi anni, ma non è così. In Ceretto hanno già alzato l’asticella e anche se quest’anno i progetti in cantiere non arriveranno a concretizzarsi, tra il 2023 e 2024 ci sarà l’inaugurazione di altre due location di forte richiamo, una in Langa e una in Roero. A raccontarlo a Italian Wine Tour è Roberta Ceretto, esponente della famiglia proprietaria e responsabile marketing e comunicazione dell’azienda.

L’Acino di Tenuta Monsordo

Quali sono i progetti in cantiere?

Il primo riguarda La Morra. A poca distanza dalla Cappella del Barolo, che ogni anno attrae all’incirca 100mila visitatori, c’è un rudere che quasi incombe sulla chiesina diventata luogo di attrazione per le sue opere d’arte. Lo stiamo recuperando e diventerà un centro di accoglienza legato al cibo e soprattutto al vino. Del resto, siamo in uno dei cru più importanti del Barolo, quello di Brunate, e quindi è giusto che il Barolo la faccia da padrone. Non sarà un ristorante con ambizioni di fine dining bensì qualcosa di simile a un’enoteca o a una “piola” locale, con un’enorme selezione di vini del territorio e soprattutto di Barolo. Avremmo voluto inaugurare il tutto già quest’anno ma, data la situazione generale dell’edilizia e considerando l’allungamento dei tempi per ottenere i permessi – siamo pur sempre in “zona rossa” Unesco – occorrerà aspettare fino al 2023.

E il secondo progetto?

In Roero, dove ci sono i vigneti del Blangé, abbiamo acquistato una collina di otto ettari, in località Vezza d’Alba, e nel mezzo c’è una torre antica che trasformeremo in oggetto d’arte. Al momento non posso dire molto di più, ma la speranza è che i nostri investimenti riescano a “smobilitare” il turismo e in particolare quello degli appassionati di trekking e bicicletta, un turismo sostenibile e responsabile che potrebbe apprezzare i panorami certamente non convenzionali che offre un territorio come il Roero. I lavori dovrebbero essere conclusi entro il 2024.

E per Barbaresco, altro vostro territorio di elezione, ci sono idee in cantiere?

A Barbaresco disponiamo di una cantina inaugurata nel 1971 e in questo momento va bene così. Non è nostra intenzione mettere troppa carne al fuoco: abbiamo già molto tra Barolo, Alba e Roero e prima di pensare a Barbaresco, occorrerà consolidare le nuove attività. Due nuovi progetti in due anni sono molto impegnativi. Non dimentichiamo, peraltro, l’offerta legata alle visite in cantina a Monsordo d’Alba, dove poi si fa l’immancabile passaggio a L’Acino, e che rappresenta la base per i wine tasting. Qui l’enoturista può scegliere se fare una degustazione più generica, nel caso non abbia una visione ancora chiara del territorio di Langhe e Roero, o un tasting focalizzato sui nostri cru, che da quest’anno, con la presentazione della prima annata di Rocche di Castiglione, sono diventati sei. Oggi possiamo dare un’idea abbastanza importante di quelle che sono le differenze di terroir nella docg del Barolo e la stessa cosa vale per Barbaresco, dove abbiamo tre cru.

La Cappella del Barolo

Qual è la vostra idea di accoglienza?

L’errore più grave sarebbe concepire le Langhe come un territorio destinato al turismo di massa. Non è nel nostro dna, perché le moltitudini di persone non sono in sintonia con la conformità del territorio. E poi, da sempre, il turista che visita le Langhe è preparato e cerca tendenzialmente grandi vini e grandi cibi, a cominciare dal tartufo bianco. Di conseguenza, le sue aspettative sono alte sotto ogni aspetto e vanno soddisfatte. Il cambiamento più rilevante degli ultimi anni è legato alle strutture dove si può pernottare: se prima rappresentavano un punto debole, oggi sono in linea con la qualità dell’enogastronomia, principalmente grazie agli investimenti di tanti produttori di vino che hanno creduto nell’accoglienza. Inoltre, attraverso il dialogo territoriale e il potenziamento degli eventi, nelle Langhe si è sviluppata una rete di iniziative che ha contribuito ad allungare la stagione: da primavera a Natale c’è sempre qualcosa da fare.

Cosa servirebbe per dare ulteriore linfa all’incoming turistico?

Il territorio oggi è in linea con la domanda di un turismo alla ricerca di tranquillità, di esperienze a diretto contatto con i produttori, di un turismo attivo fatto di trekking, bici, vita all’aria aperta, visite nei borghi, alta qualità della ristorazione. Bisogna scremare, puntare con rigore su appuntamenti di valore, tenere alto il livello. È un territorio famoso nel mondo per il Barolo e per il tartufo, cose straordinarie e costose: tanto diamo, tanto dobbiamo pretendere in cambio.