Marche by bike, il passaggio da Verdicchio a Lacrima

di Andrea Guolo

Un giorno pieno in bicicletta tra due denominazioni: mattino da Montecarotto a Serra de’ Conti, pomeriggio con trasferimento a Morro d’Alba

Avevamo messo la sveglia ma non è servita. Alle 7.07 è arrivata la scossa, 5,7 di magnitudo, con epicentro poco distante dal nostro agriturismo. Ci si ritrova fuori delle stanze, un po’ frastornati ma tutto a posto. Poteva andare peggio, siamo pronti per ripartire e pensiamo: non ci facciamo mancare proprio nulla! Colazione con un taiwanese che ci dice: da noi capita spesso, siamo abituati. Poi in sella, discesa verso le vigne vecchie di Umani Ronchi (hanno più di 50 anni e se ne ricava un vino di cui vi abbiamo raccontato ieri) e arrivo dopo qualche chilometro da Sartarelli. Il sole è già alto, il clima fantastico, la vista dalla terrazza dell’azienda quasi commovente. Cosa potremmo chiedere di meglio? Una benedizione, forse…

I ciclogiornalisti con il vescovo di Jesi

UN VINO “BENEDETTO”

Detto fatto, ecco arrivare il vescovo di Jesi. Sua eminenza si chiama Gerardo Rocconi, è un local (di Corinaldo, per la precisione) e conferma la nostra predisposizione alle benedizioni in terra marchigiana da parte di alti prelati. Accadde lo scorso anno a Loreto, accade ora da Sartarelli. Foto di rito con il vescovo e poi ci “tuffiamo” alla scoperta dell’azienda, che ha una storia interessante. Donatella Sartarelli e il marito Patrizio Chiacchiarini gestivano un forno in paese, loro facevano il pane e la vigna la lavorava il padre di Donatella. Con la sua scomparsa, il testimone è passato a loro e da conferitori di una cooperativa hanno deciso di trasformarsi in produttori a marchio proprio. La posizione di Sartarelli è baciata da Dio e la terrazza esposta a sud è il posto ideale per i tasting, che però vengono anche organizzati nella sala interna. In più, con la degustazione, si fa anche una buona azione perché i 10 euro pagati per degustare sei vini finiscono per metà all’associazione per la ricerca sul cancro. Con 20 euro ci si assicura l’abbinamento con salumi e formaggi. Si capisce che lo scopo della famiglia Chiacchiarini/Sartarelli con l’enoturismo non è quello di fare business, è far conoscere il Verdicchio di cui l’azienda è una super specialista: nei suoi 40 ettari di vigneti (più 7 in affitto) si coltiva solo il vitigno principe della zona. Da vedere anche il piccolo museo aziendale con le curiosità legate al Verdicchio (il claim di Sartarelli è: In Verdicchio Veritas!) e da assaggiare i dolci prodotti per loro da un artigiano locale. L’esperienza si prenota via mail tramite il sito o telefonando direttamente in azienda.

Patrizio Chiacchiarini

OLTRE IL BLOCCO STRADALE C’È PODERI MATTIOLI

“Di qui non ci si passa”, ci dicono gli operai intervenuti per la frana. La strada verso Poderi Mattioli, nostra tappa successiva, è interrotta a causa della drammatica bomba d’acqua che ha colpito Senigallia e il suo entroterra a metà settembre. Ma le bici hanno un vantaggio: basta uscire dalla strada, superare l’ostacolo attraverso la vigna e il problema è risolto. E in ogni caso gli operai sono carini e chiudono un occhio… Arriviamo così in mezz’ora o poco più a Serra de’ Conti da Poderi Mattioli, con il gran finale di una discesa da brivido a freno tirato perché la stradina è sterrata. La cantina sembra nuova di zecca e in effetti è recente: i fratelli Giordano e Giacomo Mattioli, con la sorella Letizia, l’hanno realizzata a partire dal 2008 e la prima vinificazione risale al 2010. Prima c’era solo la parte agricola e anche i Mattioli conferivano a due cooperative: “Ma non ci dava soddisfazione”, spiega Giordano. È un’azienda boutique, solo 40mila bottiglie, ma esporta in tanti paesi d’Europa, perfino in Svezia e in Repubblica Ceca. Ed è un’altra specialista del Verdicchio, unico vitigno gestito nelle sue proprietà con la sola eccezione di una piccola quota di Chardonnay destinato ad arrotondare il blend nel suo metodo classico. Per la visita è meglio prenotare, per telefono o via mail, ma in realtà si può anche passare direttamente e il tasting è sempre offerto e gratuito, mentre per gruppi più numerosi la formula tasting+abbinamento di salumi (consigliatissima, lonza e salame sono home made e preparati con carni di maiali allevati dal vicino di casa) costa soltanto 15 euro a testa. Da provare anche l’olio, che però non è in vendita (ci sono solo 40 piante di ulivo, è sostanzialmente per autoconsumo).

Giordano e Letizia Mattioli

VINO E DESIGN, ECCO CASALFARNETO

Risaliamo la strada sterrata e al primo bivio, a sinistra, ecco Casalfarneto. La cantina è di design, progettata dall’architetto Nazareno Petrini, che ha anche seguito la ristrutturazione di Casale Rita, la base delle attività enoturistiche dell’azienda. L’azienda è di proprietà di Paolo Togni, che l’ha acquistata nel 2006: oggi ha 35 ettari vitati, di cui 28 coltivati a Verdicchio e 7 a vitigni di bacca rossa, per una produzione complessiva che punta al milione di bottiglie. Le attenzioni sono molto alte verso le tematiche della sostenibilità (è in corso la certificazione Equalitas) e del basso impatto ambientale, tanto che i terreni sono coltivati senza ricorrere a diserbanti. La situazione del Verdicchio? “È un vino attrattivo, c’è grande curiosità nel mercato, tutti lo chiedono e tutti lo vogliono provare”, ci racconta il proprietario. Le degustazioni presentano diverse formule: base, premium e top, abbinate con prodotti locali. I vini si suddividono tra quelli ad agricoltura convenzionale e una linea dedicata al bio. Tra le produzioni compare anche il vermouth. Perché visitare Casalfarneto? Perché è un’azienda progettata “in grande” e con un occhio di riguardo proprio per l’accoglienza, come dimostra anche la meritevole stazione di carica per le e-bike e per le auto elettriche.

Paolo Togni con i giornalisti Marchetto e Guolo al punto di ricarica delle e-bike

IL WINE RESORT DI FILODIVINO

Si risale in bici ripercorrendo la via del mattino. Salutiamo gli operai del cantiere stradale che si lamentano perché non gli abbiamo portato il caffé – ma avrebbero meritato anche una bottiglia di vino – e da Casale Rita torniamo verso Montecarotto per affrontare il cambio di denominazione. Pochi km dopo il centro del paese compare il bivio per Morro d’Alba, il regno della Lacrima (anzi, il Lacrima, rigorosamente al maschile), che per noi rappresenta il secondo vino da approfondire, dopo il Verdicchio, in questo viaggio. La prima azienda che incontriamo è forse quella architettonicamente più bella che abbiamo finora ammirato: si tratta di Filodivino. Perché questo nome? Riflette la storia del suo proprietario, Alberto Gandolfi, ex imprenditore nel settore dei filati plastici che a un certo punto del suo percorso professionale ha deciso di vendere, perché non si riconosceva più nelle regole di quel mondo, per dedicarsi al vino. Dal filo al vino, il nome della tenuta è diventato Filodivino. La cantina ipogea è stata progettata come una mezza botte e la firma è dell’architetto milanese Cristiana Dell’Acqua. L’anima dell’azienda, dal punto di vista tecnico, è l’enologa Ginevra Espositi, ma Filodivino si avvale anche della consulenza di un big dell’enologia come Luca D’Attoma. Qui l’ospitalità è concepita come una vera e propria attività integrata, con sette camere all’interno della “casa” (in realtà un vero e proprio wine resort) di Alberto e della moglie Alida: tra personale di sala e chef addetti alla ristorazione, operano ben dieci persone durante la bella stagione, che inizia a Pasqua e si conclude a inizio novembre. La cantina invece è aperta tutto l’anno e offre diverse wine experience prenotabili online a partire dai 20 euro a persona. A completare il tutto, la piscina a sfioro tra i vigneti e una spa dotata di sauna e vasca di reazione, bagno turco, percorso Kneipp, docce emozionali, vasca idromassaggio riscaldata esterna ed interna con nuoto controcorrente, palestra attrezzata per allenamento funzionale, esercizio aerobico. Tra i vini continuano a prevalere i bianchi, pur essendo a Morro d’Alba, con prospettiva di raggiungere un equilibrio tra bianchi e rossi, a cui si aggiunge una parte di rosati.

Veduta aerea di Filodivino

TRA I CINGHIALI VERSO MANCINELLI

Anche stasera è arrivato il buio, che giusto ieri ci eravamo ripromessi di evitare… Ma la strada è relativamente breve (5km) per arrivare al traguardo del secondo giorno, che è l’azienda Stefano Mancinelli a Morro d’Alba. E in realtà la luce c’è, perché la luna illumina magnificamente il territorio. Risaliamo quindi verso la provinciale sotto i raggi lunari e la sensazione è da brividi, poi sfruttiamo un trattore (qui nelle Marche si lavora senza sosta nei campi, anche di notte) che ci spara i fari nel tratto più buio, infine ci troviamo due bei cinghiali intenti a fare qualcosa, e solo loro sanno cosa, in un giardino lungo la strada. Arrivati alla provinciale affrontiamo la discesa verso Morro e incontriamo Stefano Mancinelli nella sua tasting room. L’esperienza del tasting ve la raccontiamo domani, perché siamo già fuori la misura massima del testo! Pernottiamo a Le Civette, la casa vacanze di Mancinelli, ottima soluzione per approfondire la storia e ammirare le bellezze di Morro d’Alba che ha una cinta muraria davvero unica al mondo (con una passeggiata coperta lungo la totalità delle mura) e poi a cena da Taverna degli Archi a Belvedere Ostrense, dove abbiamo il piacere di conoscere lo chef Antonio Ciotola il cui entusiasmo è davvero contagioso, quasi quanto il tartufo nero che propone nei suoi piatti. Ciotola è campano di origine e marchigiano d’adozione, ama le Marche e ama i vini di Mancinelli, esattamente come noi. Durante la serata arriveremo ad aprire un 2000 che conferma la nostra idea di Lacrima di Morro d’Alba: i marchigiani lo amano giovane, ma non sanno cosa si perdono nel non avere la pazienza di lasciarlo invecchiare. La serata finisce quindi in gloria e, al termine di una giornata nella quale abbiamo percorso poco più di 40 km in sella alle nostre mountain bike a pedalata assistita. A domani per l’ultima immersione nel Lacrima.

Il percorso della seconda giornata di Bike&Wine Press Marche 2022

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