Una “spedizione” sulle colline del Prosecco a caccia di “sfuso” diventa l’occasione per scoprire un piccolo-grande produttore, che ha aderito al progetto Colfondo Agricolo. Fino ad aprire una bottiglia dell’annata 2013…
La giornata inizia sotto una pioggia battente. Non è questo il tempo migliore per salire tra le colline di Colbertaldo, nella zona del Prosecco Superiore Docg di Conegliano Valdobbiadene, per fare quello che forse un giornalista specializzato nel vino non dovrebbe mai fare – ma chi se ne frega dell’etichetta, ci aggiungo io – ovvero acquistare lo “sfuso”, tramandando un rito che appartiene ai nostri vecchi e che, tra amici, abbiamo ereditato e portiamo avanti in tutte le sue declinazioni, imbottigliamento compreso. E se nelle pratiche del passaggio dalla damigiana alla bottiglia, notoriamente, una percentuale sempre variabile (in base alla qualità della compagnia, s’intende) è destinata a perdersi all’interno dei bicchieri presenti nella propria cantina, in quelle precedenti che avvengono dal produttore è sempre buona usanza degustare direttamente dal serbatoio in acciaio, trovando il cantiniere ben disposto a farti assaggiare quel che poi resterà per qualche mese in maturazione nella tua personale cantina, tagliando un bel salame per far passare il tempo e i languori dello stomaco, chiacchierando e preparandosi alla dura prova del pranzo che seguirà in una delle osterie della zona. Non è questa la situazione in cui, a un certo punto della pratica di riempimento delle damigiane, ti aspetti di aprire una bottiglia dell’annata 2013, ancora incredibilmente fresca, di un vino che si pensa non abbia particolare longevità. E invece, signori, ci siamo clamorosamente sbagliati. E così, tra un errore e l’altro, abbiamo scoperto due cose meravigliose: la cantina della famiglia Miotto e il progetto Colfondo Agricolo.

Le colline di Valdobbiadene (ph. official website cantinamiotto.it)
IL VINO STORICO DEL TERRITORIO
L’amico che mi porta da Miotto non è propriamente un aspirante sommelier iscritto al terzo livello del corso Ais. È uno che beve, talvolta bene e talvolta male. Ma non appena metto piede in cantina, capisco che questa volta l’ha imbroccata. Innanzitutto, perché Andrea Miotto, colui che ci accoglie, è giovane e solare, pronto a raccontarti quel che fa senza annoiarti e senza valutare la competenza di chi ha di fronte. E poi perché già i vini base Glera che assaggiamo spillandoli dall’acciaio hanno un loro perché: c’è un’altra cantina che ci aspetta dopo Miotto, ma ho già deciso che i 34 litri per riempire la mia damigiana li acquisterò qui. Gli altri amici arrivano alla spicciolata, chi dal Veneto chi dall’Emilia, e c’è chi si è portato la mamma a seguito, che chissà da quanti anni non entrava in una cantina… Sul tavolino ci sono le bottiglie, perché lo sfuso è una vecchia tradizione che a Valdobbiadene, tra i “piccoli”, si porta avanti con piacere, ma il punto forte di Miotto è naturalmente l’imbottigliato e lui ci tiene a presentarlo (e a venderlo). Ci sono tre diverse etichette di Prosecco Docg (il freschissimo e gradevole extra dry Fedéra, il più complesso brut che porta lo stesso nome e il sontuoso millesimato Rive brut nature) e poi c’è un Igt con tappo a corona che ci intriga già dal nome: ProFondo. Tra un discorso e l’altro, tra una damigiana e l’altra da colmare, Andrea Miotto ci propone di salire in sala degustazione dove ci fa provare tutto, concludendo con il ProFondo. Che è davvero sorprendente. E fa parte di un progetto avviato con altri 16 produttori, denominato ColFondo Agricolo. “Questo è il vino storico del territorio. E sta tornando d’attualità. Ci siamo dati delle regole per realizzare un vino rifermentato in bottiglia e che, grazie a queste regole rispettose dei tempi di produzione, può avere una longevità sorprendente. Anche per questo abbiamo deciso di indicare l’annata in etichetta”. Constatata la soddisfazione presente nei nostri sguardi, Miotto ci chiede di aspettare un istante, va via e poi torna con una bottiglia del 2013, che è incredibilmente viva, fresca, di notevole acidità. Ovviamente in auto, nel piccolo bagagliaio della Mini con i sedili posteriori abbassati per far entrare la damigiana, ci finisce dritto un cartone di questo Profondo, che dimenticherò in qualche angolo della cantina per riscoprirlo tra diversi anni, bello impolverato, ricordandomi di questa giornata.

Le bottiglie prodotte da MIotto
DALLA STALLA ALLA CANTINA
La cantina Miotto nasce una ventina di anni fa. “Eravamo un’azienda agricola come tante, qui c’era anche la stalla. Poi ci siamo dedicati esclusivamente all’uva e al vino”, racconta Andrea. A fondarla è stato il padre Valter, oggi affiancato da Andrea e dal fratello Matteo. Lavorano esclusivamente partendo dalle proprie uve, che sono coltivate tutte in collina, per un totale di 15 ettari di vigneto dislocati in 16 diversi appezzamenti e distribuiti su sette comuni della denominazione. Le vinificazioni avvengono separatamente, nel rispetto delle caratteristiche espresse da ciascuna area, e poi si lavora sui blend e sulle cuvée. Una piccola parte della produzione viene poi venduta a uno dei marchi più prestigiosi del mondo Prosecco Docg, ma non vi riveleremo chi è.
LE PICCOLE VERTICALI
L’esperienza di visita in cantina è molto semplice e piacevole, sembra quasi di entrare in famiglia e Andrea è un ragazzo gentile e simpatico. Si prenota tutto tramite sito oppure inviando una mail o, naturalmente, con una semplice telefonata. I Miotto ti accolgono, ti fanno assaggiare le basi, i passaggi intermedi e poi naturalmente il gran finale direttamente dalle bottiglie, per concludere con il ProFondo che è il loro grande motivo di orgoglio. Il tutto per un costo che può variare in base alle esigenze dei wine lovers accolti in cantina, ma in genere si aggira sui 20 euro a testa. Per i più appassionati c’è anche la possibilità di provare delle piccole verticali di ProFondo. “Le organizziamo – conclude Andrea – per scoprire il prodotto e per capire fin dove può arrivare. Perché i nostri vini non devono essere per forza consumati entro l’anno, e con l’attesa esprimono la ricchezza e l’unicità offerte dai territori collinari e dalla coltivazione attenta delle vigne. Sono vini semplici ma non banali, pronti a sfidare il tempo”.

Damigiana, missione compiuta!