Il presidente e ceo di Angelini Wines & Estates racconta a italianwinetour.info i programmi della holding legati all’accoglienza, oggetto di un investimento immediato di cinque milioni di euro. “Lavoreremo sul prima e sul dopo, utilizzando un linguaggio contemporaneo e considerando l’incoming come una modalità fondamentale di comunicazione”. Si parte con Bertani a Grezzana e con Vigna Spuntali a Montalcino
Più di cinque milioni di euro destinati all’ospitalità. Anzi: alla wine experience all’interno delle tenute e delle cantine del gruppo Angelini Wines & Estates, nuovo brand che è destinato a sostituire l’attuale Bertani Domains per caratterizzare e raccogliere in un’unica realtà i sei possedimenti della famiglia Angelini nell’ambito vitivinicolo: Cantine Bertani in Valpolicella, Cantina Puiatti in Collio, Val di Suga a Montalcino, San Leonino in Chianti Classico, Tenuta Tre Rose a Montepulciano e Fazi Battaglia nei colli del Verdicchio di Jesi. Ad annunciare l’entità dell’investimento in cantiere è stato Ettore Nicoletto, presidente e ceo di Angelini Wines & Estates, manager di esperienza consolidata nel mondo vinicolo e convinto sostenitore dell’importanza dell’enoturismo come leva di marketing, comunicazione e anche modalità commerciale per le cantine che lo affrontano con piani adeguati e strategie ben definite. “Il focus iniziale di questi investimenti saranno due cantine: Bertani a Grezzana in Valpantena e Val di Suga per la tenuta di Vigna Spuntali” ha raccontato Nicoletto in questa intervista esclusiva per italianwinetour.info.
Come affronterete la sfida enoturistica?
Partiamo con un certo ritardo, perché nei due anni dal mio insediamento abbiamo svolto un lavoro intenso a livello di gestione aziendale e sulle singole tenute. Questo ritardo ci dà l’opportunità di affrontare la tematica in maniera diversa, con un linguaggio fresco e contempoeaneo, distante dai canoni utilizzati tradizionalmente nel turismo del vino. Tant’è che preferiamo utilizzare il termine wine experience e non enoturismo, proprio per staccarci dall’idea di percorso standardizzato per affrontare invece un progetto tailor-made, creato su misura per la clientela che decide di venire in una delle nostre aziende.
Quali saranno i punti cardine della vostra wine experience?
Si baserà su un percorso fondato sulla base delle esperienze e dei gusti di visitatori che vengono a trovarci, utilizzando il crm per arrivare a una strategia direct to consumer. Inoltre, usciremo dal linguaggio spesso autoreferenziale del mondo wine per arrivare, attraverso la contaminazione, allo stesso linguaggio che i consumatori già conoscono quando affrontano altre esperienze come ad esempio l’acquisto online di beni di prestigio, un soggiorno in hotel di lusso, una visita a una pasticceria rinomata di una città italiana. Ci rivolgiamo a un pubblico giovane e che si aspetta di trovare un certo tipo di contesto in una cantina del 2022, nel pieno rispetto delle tradizioni e dell’unicità rappresentati da una cantina e il suo territorio, ma con una lingua e con codici più contemporanei.
Si parte da Grezzana in Valpantena e da Vigna Spuntali a Montalcino. Cosa farete?
L’obiettivo a Grezzana è quello di arrivare già la prossima estate, al massimo in autunno, a disporre di una cantina adatta per ricevere persone che così potranno approfondire la storia di una realtà davvero unica nel mondo dei grandi vini veronesi. Passando in Toscana, Vigna Spuntali è una delle tre tenute che compongono Val di Suga ed è sostanzialmente il fiore all’occhiello dell’azienda, la roccaforte dei suoi cru. In quella proprietà disponiamo di un podere che trasformeremo in un casale di charme con 4-5 camere, una piscina, un wine shop. La struttura sarà di livello alto e speciale: pensiamo di chiamarla Casa Spuntali, per dare l’idea di un luogo dove ci si sente come a casa ma si vive in una dimensione di lusso contemporaneo e con forti attenzioni alla sostenibilità. Il progetto di Montalcino cuberà da solo, nel periodo 2022-23, una mole di investimento pari a circa 4 milioni tra infrastruttura, impianto organizzativo e supporto tecnologico al nostro modo di concepire la wine experience.
Qual è il ritorno previsto dall’investimento?
Valutare il ritorno sulla base della sola vendita diretta delle bottiglie o dell’occupazione delle camere sarebbe fuorviante. Noi opereremo sui visitatori con un lavoro di segmentazione a monte, per arrivare a creare l’esperienza su misura, e con una serie di follow up successivi che ci porteranno a calcolare il risultato di una modalità diversa nell’affrontare l’opportunità legata all’accoglienza. Penso infatti che l’esperienza in cantina e l’opportunità di comunicare i contenuti rilevanti di un brand, nel luogo dove nascono i suoi vini, costituisca una potentissima modalità di comunicazione per il marchio stesso. Il ritorno di un racconto corretto rafforza poi il livello di fidelizzazione verso il brand da parte di soggetti che possono essere ristoratori, distributori, media o semplicemente wine lovers. E a ognuno di questi bisogna rivolgersi con modalità diverse e rispecchiando le loro attese che sono anch’esse diverse. Le opportunità di business si calcolano nel medio-lungo termine e, sulla base di esperienze pregresse, posso dire che il ritorno per la reputazione e l’immagine della marca è stato ampiamente dimostrato.
Ragionando in generale – e paragonando la situazione italiana rispetto a quella di alcune destinazioni del vino che hanno lavorato bene in ambito turistico – da noi la mancanza di una visione di sistema emerge chiaramente dall’assenza di punti di accoglienza per i visitatori. Chi dovrebbe assumersi la responsabilità di crearli e gestirli?
Per il ruolo naturale che gli viene conferito, non può che essere il consorzio di tutela, a cui spetta anche la promozione del territorio. In effetti, casi come quello di Valdobbiadene, al centro di un territorio patrimonio Unesco e con 100 milioni di bottiglie prodotte ma privo di desk in entrata per accogliere i visitatori, sono a dir poco clamorosi. A mio avviso, a livello nazionale, servirebbe un portale in grado di presentare l’offerta enoturistica declinata per regioni e – all’interno delle regioni stesse – per distretti del vino, lasciando poi alle varie realtà consortili la gestione di entry points in modo neutrale e asettico, segmentando tuttre le proposte e i servizi offerti. In questo modo, in territori dove la prima attrazione è rappresentata dal vino, si riuscirebbe a mettere in rete tante eccellenze, dagli hotel ai ristoranti fino ai negozi e alle attività artigiane. Non aver fatto nulla di tutto questo rappresenta l’ennesima dimostrazione che in Italia non c’è un limite allo spreco di talento. E il paragone va inevitabilmente a quanto sono riusciti a fare gli americani in Napa Valley, dove partendo da un’idea è stato costruito un paesaggio; noi abbiamo il paesaggio ma ci mancano le idee, l’unità e la capacità di progettare.
Esistono casi virtuosi di approccio, in Italia, alla wine experience?
Esistono ma sono legati a iniziative imprenditoriali singole, e non ai territori. E questi casi virtuosi appartengono sempre ai “soliti noti”, perchè le imprese che vanno bene nei mercati sono quelle che hanno poi la sensibilità necessaria per comprendere che non basta investire in mercati, reti commerciali, marketing e comunicazione tradizionale standard, compresa quella digitale, ma occorre invece fare un lavoro efficace sull’experience nei luoghi dove nascono i vini. Posso citare i casi di Antinori, di Castiglion del Bosco nell’altissimo livello, di alcune aziende della Valpolicella. Ed è un peccato osservare realtà più dotate di altre nel potenziale di experience, ma che non hanno avviato progetti degni di questo nome e del loro potenziale. La wine experience, pur facendo parte a tutti gli effetti del marketing, ha un suo connotato specifico e non è più trascurabile.
Siamo all’anno zero?
Diciamo che siamo agli albori.